Carissimi Nihiller,
A Gennaio di quest'anno ho scritto un racconto (evento rarissimo!!) per un concorso (cosa stranissima!!). Qualcuno di voi (pochi, uno o due 😅) forse se lo ricordano ancora. C'era una misteriosa "aurora boreale" in Italia.
Bene, cosa è successo più o meno un mese fa? 30 ottobre 2021, avvistata una aurora boreale in Italia!! Quante possibilità c'erano che succedesse una cosa simile? Nessuna! E infatti, come spiegato dagli esperti, non era esattamente una aurora boreale...
Ma del resto, non lo era davvero nemmeno nel mio racconto, sembrava...
Insomma, non sottovalutate mai le mie doti da veggente!! 🤣😜
Per chi avesse voglia di recuperare il racconto, eccolo qui, per voi!
Titolo: Dalla Terra alla Luce
Due lunghe scarpe nere, tanto
lucide da potersi specchiare. Delle gambette secche infilate in un pantalone
nero a sigaretta. La giacca coordinata, abbottonata con rigore, stringeva la
sua esile gabbia toracica. La cravatta al collo. Un viso giovane ma spigoloso.
Un auricolare sull’orecchio sinistro, degli occhiali da sole rettangolari di un
nero impenetrabile. I capelli indietro, ricoperti di gel, per cercare di darsi
un’aria seria, composta. Se ne stava fermo, in attesa come un calciatore mentre
fa da barriera per un calcio di punizione.
Ruppe il
silenzio una lieve vibrazione. Attivò l’auricolare. “Capo...”, ascoltò con
attenzione gli ordini, sussurrò un “Ok” e chiuse il collegamento. “È il
momento. Forza, ragazzi!” li motivò, stringendo i pugni, un segno per invitarli
a restare compatti e forti.
Si voltò,
ripose gli occhiali da sole nel taschino della giacca e avanzò a passo svelto.
Lo seguirono sei uomini vestiti come lui, seri, decisi. Erano più anziani e più
bassi di lui, tutti della stessa altezza.
Si chinò a
prendere la corona di fiori sulla bara. Attese che i suoi colleghi si
portassero la bara sulle spalle e iniziò a marciare, dava loro il passo giusto
per condurli fuori dalla chiesa. Fu il primo a rivedere la luce del sole, frugò
nella tasca sinistra della giacca, trovò subito le chiavi e aprì l’auto di
servizio con un pulsante. Poggiò i fiori sul lato sinistro del carro. Aprì lo
sportello posteriore per accogliere la bara.
“Dove lo
porto, capo?”
“Nel nostro
garage, lo seppelliscono domani.”
Il giovane
autista annuì e si sistemò alla guida. I funerali di una volta, con il corteo
dei parenti dietro il carro funebre, non esistevano più da tempo, e la
diffusione di un virus a livello mondiale, aveva reso ancora più veloci e
sbrigativi i funerali poiché erano proibiti gli assembramenti (termine
diventato particolarmente di moda in quel periodo, a furia di sentirlo ripetere
in tv) e niente baci e abbracci, nemmeno se necessari a consolare qualcuno
senza perdersi in inutili frasi fatte che non avevano mai aiutato nessuno. Tra
gli individui era necessaria una distanza di un metro e una mascherina per
proteggere naso e bocca. La socialità, già in crisi per gli egoismi dell’uomo
moderno, ora era del tutto sparita.
Un po’ per
questo e un po’ perché il caro estinto aveva avuto una vita lunga e solitaria,
non c’erano state troppe lacrime. Gli affetti superstiti erano ormai pochi e
stremati dalle ultime nottate passate insonni ad accudirlo. Dispiace sempre, ma
dopo aver visto tanto soffrire un proprio caro, a volte la morte è vista come
l’unica soluzione per una vita che non è più tale, ma solo una lunga agonia.
Dinamiche che
aveva imparato con questo lavoro, temi ricorrenti nelle parole di vedove e
vedovi, di figli e nipoti.
“Siamo sul
corso. Chissà quante passeggiate avrai fatto qui.” disse l’autista al defunto.
Sapeva che non poteva rispondergli, ma gli sembrava carino essere lo stesso di
compagnia. “Attenzione! Ora c’è una buca!” lo avvisò. “Scusa, sai com’è... non
vogliono mettere l’asfalto perché è il centro storico, e stanno impiegando una
vita per trovare delle pietre simili alle originali. Sono sicuro che sei
d’accordo, non vorresti l’asfalto, e allora devi sopportare questo tremolio.
Domani passeremo per un’altra strada più scorrevole.”
Giunto dinanzi
al garage schiacciò il pulsante del telecomando e la saracinesca si aprì con il
solito fastidioso cigolio. Con precisione e delicatezza parcheggiò l’auto.
“Siamo arrivati.” disse spegnendo il motore. “Ultima notte tra i vivi, domani
raggiungerai la tua nuova città.” Scese dall’auto e chiuse lo sportello. “C’è
un bell’ingresso monumentale, un viale alberato, tante casette di famiglie
benestanti, tu hai scelto di tornare alla terra. Lo capisco. Bello... come si
vede in tutti i film americani. Lo so, lo so... non l’hai scelto per quello.
Hai motivazioni più nobili. L’antico legame con la terra... Be’, ora ti
saluto.” disse premendo l’interruttore della luce del garage e risalendo le
scale che l’avrebbe condotto su, in ufficio, per consegnare le chiavi alla figlia
del capo.
“Nuuuunziaaaa”
bisbigliò in tono lamentoso come un fantasma.
“Quanto sei
stupido! Non mi spaventi più con questi scherzi.”
“Perché mi hai
visto nei monitor di sorveglianza, altrimenti saresti saltata sul lampadario
come un gatto!” la provocò imitando il verso di un felino spaventato. “Ecco le
chiavi. A domani.”
“Puntuale!”
Le fece un
occhiolino per confermare. Lei sorrise. Sembrava un corvo emaciato, ma era in
realtà un tipo cordiale come pochi.
Nel garage
regnava come sempre, a quell’ora tarda della notte, il silenzio e il buio più
profondo, quando di colpo si aprirono tutti gli sportelli del carro funebre. La
bara iniziò a oscillare, come se tremasse per il freddo, finché non si assestò
e iniziò a fuoriuscire una sottilissima polvere verde. La polvere, fluttuando
nell’aria, si dispose formando una linea iridescente e trovò una via d’uscita
in un piccolo angolo scheggiato della finestra rettangolare del garage.
C’era chi non
riusciva a dormire quella notte, troppi pensieri per il lavoro e il figlio in
arrivo, aveva bisogno di distrarsi, andò sul balcone a fumare per non
disturbare la sua dolce metà.
“Amo’, amore.”
“Che c’è?”
biascicò lei ancora assonnata.
“Devi vedere!”
“France’, per
favore...”
“Cosa sognavi
di vedere tu prima di sapere del bambino? E del virus?”
“Ma che dici?”
“Rispondi.”
Lei si sollevò
lentamente, mettendosi seduta sul letto, con la pancia che ormai era diventata
una luna piena. “Volevo vedere l'aurora boreale.”
“Eh! È
arrivata qua!” disse lui tutto sorridente.
Lei lo fissò
con diffidenza. “Che ti sei fumato? Non ti vergogni? Stai per diventare padre!”
“È tutto a
posto! Fidati. Vieni a vedere!”
Si alzò, abbracciando il suo
pancione si affacciò al balcone, sgranò gli occhi: “Oh, madonna...”
Non furono gli
unici ad accorgersene, ben presto si scatenò il passaparola e tutto il paese si
svegliò per ammirare quello straordinario spettacolo nel cielo notturno.
Il mattino
dopo era tutto sparito, ma non le discussioni su quanto era accaduto. L’avevano
etichettato in modo spontaneo come “aurora boreale”, ma non lo era. La
ricordava, ma era qualcosa di diverso. Studiosi, appassionati e ogni singolo
abitante aveva la sua teoria. Qualcuno diceva che erano dei fumi tossici di
qualche fabbrica spinti dal vento fino in paese. Per altri era uno scherzo, con
le nuove tecnologie si poteva fare qualunque cosa. E qui si dividevano in due
fazioni: chi pensava a delle luci proiettate sulle nuvole e chi a dei droni.
Non mancarono nemmeno quelli che pensarono a un segno divino prima dell’apocalisse.
Tante teorie, tutte molto avvincenti, ma nessuno si era avvicinato alla realtà.
Cinquant’anni
prima.
Si era
svegliato come sempre all’alba, era salito sul suo fidato mulo e con il suo
buon trotto aveva raggiunto il campo. Quelle terre erano appartenute a suo
padre, a suo nonno e a chissà quanti altri antenati prima di lui. Nel lavoro,
di padre in figlio, nulla era cambiato, ogni tradizione era stata rispettata.
Legò il mulo
all’olivo vicino al trullo, nella mangiatoia sistemò un po’ di fieno e andò verso
il pozzo per riempire un secchio d’acqua da offrire alla bestiola.
Mentre
ritornava con il secchio carico d’acqua, vide d’improvviso il campo, il mulo e
il trullo venire illuminati da una luce potentissima che proveniva alle sue
spalle. Si voltò e rimase accecato da tanta luce. Corse verso il mulo, sciolse
le briglie legate attorno al tronco dell’albero. “Forza! Corri! Andiamo!” urlò
spaventato. Il mulo, al contrario, sembrava calmissimo. “Muoviti!” insistette
cercando di tirarlo. Il mulo si inginocchiò.
Questo gesto
lo colpì. Si fidava più degli animali che degli uomini. Era sicuro che gli
animali non potessero parlare perché conoscevano già tutti i segreti della vita
e non potevano confidarli all’uomo, destinato ad affannarsi per tentare di
scoprirli.
Che sia
sceso Nostro Signore? Pensò tra sé. Decise di inginocchiarsi a sua volta.
Non riusciva a
guardare quella creatura talmente era radiosa. Ne percepì il calore. Si sentì
osservato. Non poteva giurarlo, ma gli sembrò che avesse sembianze umane, o almeno
molto simili.
“Sento che sei
buono” gli disse con un tono talmente dolce che lo commosse. “Sei felice qui?”
Sentì un
brivido. Mai nessuno gli aveva posto una domanda simile. A chi importava della
sua felicità? Era uno tra tanti, come una laboriosa formica compiva il suo
dovere senza permettere ai dubbi di farsi spazio nella sua mente. “Ci sono
tante cose belle. Ma si fatica anche tanto.”
“Quando finirai questa vita, te
ne darò un’altra meno faticosa.”
“Grazie, ma tu... chi sei?”
“Un giorno lo saprai, uomo
buono.”
Svanì,
lasciando che tornasse la penombra dell’alba. L’uomo aveva i battiti a mille,
un bisogno di urlare, di chiedere consiglio. Quello che aveva visto era troppo
per lui. Troppo grande, troppo intenso, troppo incredibile. Le gambe gli tremavano,
decise di tornare subito in paese e andare a chiedere consiglio alla persona
più affidabile e saggia che conoscesse: il suo amico prete.
Non era bravo
a raccontare, si sforzò di non lasciarsi andare in espressioni dialettali e di
essere il più chiaro possibile.
“Amico mio, è
stato un sogno.”
“No! Ero
sveglio! Ho visto tutto!”
“Non
insistere. Non raccontare mai a nessuno questa storia o ti prenderanno per
pazzo.”
“Ma è tutto
vero!”
“Vuoi
continuare la tua vita o finire rinchiuso? Qualunque cosa tu credi sia stata,
fai finta di niente. Non dirlo a nessuno, fidati!”
“Ma io...”
“Hai delle
prove? Ti ha lasciato un oggetto, qualcosa? Ci sono delle impronte nel campo?”
“No. Non mi
sembra abbia lasciato segni.”
“Allora taci!”
Tornò a casa
deluso. Per giorni non chiuse occhio e mangiò ben poco, tanto era travagliato
dai suoi pensieri. Alla fine si arrese, decise di pensare a quel momento come
se fosse stato solo un sogno, anche se in cuor suo mantenne sempre accesa la
speranza di una nuova vita, tanto misteriosa quanto lieta, accanto a quella
creatura di luce dalla voce gentile.